Non basta, per una grande azienda, aver compiuto i massimi sforzi per approntare difese e protocolli di pronto intervento / reazione ad un attacco informatico, aver delineato policy per i dipendenti e messo in sicurezza perfino i dati nei dispositivi mobile per potersi dire in salvo da cyber attacchi dal potenziale devastante. L’anello debole infatti si cela nella cosiddetta supply chain, la filiera: l’acquisto di componenti, l’assemblaggio nelle linee di produzione, l’immagazzinamento dei prodotti, la distribuzione sono tutte fasi produttive suscettibili di attacchi. Se uno dei fornitori abituali invia una email contenente una fattura allegata, molto probabilmente il dipendente la aprirà e scaricherà l’allegato senza indugi: ma se il fornitore è stato hackerato in precedenza, il contenuto di quella email potrebbe essere devastante.
C’è un grande vantaggio, per i cyber criminali, ad attaccare la filiera produttiva anzichè, direttamente, la grande azienda: è logico aspettarsi che una grande azienda disponga di molti mezzi, risorse e know how, in termini di sicurezza informatica, rispetto alla piccola azienda che, sicuramente, avrà ben poco budget da impiegare. Questo rende i vari anelli che compongono la supply chain più vulnerabili, facilmente attaccabili e altrettanto facilmente tramutabili in vere e proprie porte di accesso alle reti e ai dispositivi dei committenti.
Uno studio del Ponemon Institute del 2018 colloca ad oltre il 56% il totale degli attacchi veicolati contro grandi aziende attraverso la rete dei fornitori. Non solo: dallo stesso report risulta che solo il 35% delle aziende dispone di un elenco preciso e dettagliato di tutte le aziende “terze” con le quali condivide dati sensibili. Dati che rendono chiaro quanto sia sottovalutato il problema, nonostante la catena di approvvigionamento di una grande azienda possa diventare un ghiotto terreno di caccia per i cyber criminali: attaccando la filiera si possono sottrarre dati dei clienti e dei partner, si possono bloccare intere linee produttive, si possono rubare dati finanziari e raccogliere anche segreti aziendali o informazioni su proprietà intellettuali ecc… Le conseguenze, ugualmente, sono molto sottovalutate: un attacco alla filiera comporta, comunemente, ritardi nei pagamenti, rallentamento / blocco della produzione, compromissione della reputazione, perdita di fatturato ecc..
Il problema si annida anche nel fatto che le PMI ritengono di non essere un bersaglio esposto ai cyber attacchi: non disponendo di molti fondi o di informazioni particolarmente sensibili, spesso ritengono sufficiente implementare solo un livello di protezione superficiale. La realtà è esattamente l’opposto: è più facile “bucare” la rete non protetta di una piccola azienda che la rete di una grande azienda, probabilmente iper protetta e con un team IT aziendale sempre pronto a intervenire. La crescente interconnessione tra le varie aziende conclude il quadro: un solo punto debole comporta la “rottura” dell’intera catena.
Tutti connessi, tutti implicati, tutti responsabili
Questo è lo slogan adottato per il 2019 dall’agenzia nazionale francese per i sistemi informativi e centra perfettamente il punto: le tecniche attuali di protezione e identificazione di incidenti non sono più sufficienti a proteggere un perimetro aziendale che ormai travalica abbondantemente il confine fisico dell’azienda.
Tali strumenti infatti sono del tutto insufficienti se posti a tutela soltanto degli asset interni di una azienda mentre il resto dell’ecosistema rimane vulnerabile. Il livello di sicurezza di una supply chain, semplicemente, si attesta su quello del suo anello più debole. A questo punto l’azienda appaltatrice non può fare altro che sensibilizzare i fornitori e tutta la filiera sul tema, creando un intero ecosistema in cui la cyber sicurezza è costruita in collaborazione, e fissare dei requisiti minimi di cyber sicurezza non rispettando i quali il fornitore inadempiente viene escluso dalla filiera.
Il tema si fa sempre più urgente mano a mano che si fa sempre più diffuso l’attuale modello di esternalizzazione dei servizi: con un tale modello di organizzazione del lavoro, in pochi anni avverrà una vera e propria “selezione naturale” che vedrà la sopravvivenza solo di quelle aziende che sapranno difendere dati e processi, compresi quelli non direttamente sotto il loro controllo. Tre saranno le parole d’ordine, nei prossimi anni:
- selezione > rigorosa dei partner
- automazione > dei flussi
- cooperazione > tra tutti gli anelli della catena